Addominale
Laparocele
LAPAROCELI, LE ERNIE CHE NASCONO DA UNA CICATRICE
Il laparocele è una possibile complicazione che segue un intervento chirurgico di laparotomia addominale (laparotomia è l’incisione ed apertura dell’addome in un intervento chirurgico). Per gli anglosassoni è infatti chiamata ernia post-laparotomica ed è caratterizzata da un cedimento totale o parziale dei punti di sutura muscolo-fasciali che porta alla formazione di una breccia, anche minima, a livello della quale la tenuta della parete addominale rimane affidata soltanto al peritoneo ed alla cute. E’ un processo che si sviluppa durante la fase di cicatrizzazione della ferita: la parete addominale si indebolisce e non riesce a far fronte alla pressione addominale. Progressivamente ed in tempi variabili in questa area di debolezza, spinti dalla pressione presente nella cavità addominale, finiranno con l’insinuarsi segmenti di visceri mobili (intestino tenue ed alcuni segmenti del colon) contenuti in un sacco di origine peritoneale. Si formerà quindi un’ernia post laparotomica, che diventando sempre più voluminosa si farà strada nel piano sottocutaneo, lasso, creandovi una cavità, spesso plurisaccata, nella quale possono arrivare a dislocarsi ampie porzioni di intestino così da formare tumefazioni di grandezza variabile, a volte mostruose
Si differenzia dall’ernia, che si fa strada invece attraverso orifizi o canali anatomici e quindi pre-esistenti.
Fuoriuscita dei visceri dell’addome dalla cavità in cui sono contenuti, attraverso una zona di minore resistenza della parete, che di solito consiste in una cicatrice traumatica o chirurgica
Etimologia
composto da laparo- (dal greco λαπάρα cioè “addome”)e -cele (dal greco κήλη cioè”tumore, ernia”)
Le condizioni più frequenti che predispongono alla formazione di un laparocele possono essere di tipo generale o locale, legato alla ferita chirurgica:
Sistemiche
- Malattie dismetaboliche: diabete e obesità
- Malnutrizione, ipoproteinemia
- aumenti improvvisi della pressione endo-addominale nell’immediato decorso post operatorio: vomito, tosse, sforzi
- Broncopatie Croniche Ostruttive (BPCO)
- Terapie farmacologiche: cortisonici, citostatici
Locali
- Infezione della ferita chirurgica
- Errori di tecnica chirurgica nella chiusura della parete addominale
- Alcuni tipi di laparotomia (tagli longitudinali, oppure obliqui o trasversali)
- Presenza di entero stomie
- Re laparotomie
Incidenza
Un laparolecele è riportato nell’11% delle laparotomie mediane
Meno frequenti nelle incisioni trasversali poiché la maggior tensione dei muscoli della parete addominale si estrinseca trasversalmente (obliqui e trasverso)
L’incidenza è molto più bassa in laparoscopia (0,5% delle colecistectomie laparoscopiche nel sito dei trocar)
E’ presente nel 20% delle colostomie e nel 10% delle ileostomie
Nel 50% dei casi si manifesta entro il primo anno dall’intervento chirurgico
Il laparocele può essere del tutto asintomatico, cioè essere visibile senza dare alcun disturbo. In genere però causa fastidio o dolore, soprattutto in caso di affaticamento, esercizio fisico, lunghe camminate, stazione eretta prolungata oppure sforzi addominali intensi (tosse, starnuti, defecazione).
Clinica e diagnosi
Il laparocele si presenta come una “tumefazione” di varia grandezza evidente nel sottocute. Può manifestarsi in corrispondenza della cicatrice chirurgica ma può presentarsi anche dislocato rispetto ad essa per la caratteristica del laparocele di farsi strada nelle aree sottocutanee più lasse. La tumefazione può presentarsi liscia o bozzoluta, di consistenza molliccia o pastosa a seconda del tipo di intestino erniato.
Il laparocele, come l’ernia, è costituito da un involucro, il sacco peritoneale ed un contenuto, di solito intestino che con delicate manovre di spremitura (manovra di riduzione per Taxis) può essere riposizionato in cavità addominale rimanendovi o fuoriuscendo subito dopo o al primo sforzo. Aderenze possono formarsi tra questi visceri, tra essi ed il sacco e tra quest’ultimo e le pareti della cavità sottocutanea in cui si fa strada. In questo caso il contenuto del laparocele diventa irriducibile; in altre circostanze la massa erniata è talmente cospicua da avere difficoltà a rientrare in addome avendovi perduto, come si dice, il “diritto di domicilio”.
In relazione alla manovra di riduzione per taxis, che va effettuata sempre con estrema delicatezza per evitare danni alle anse, il laparocele può essere riducibile in cavità addominale o irriducibile, così come contenibile o non contenibile se fuoriesce immediatamente.
Una volta ridotto l’intestino in cavità spesso è possibile apprezzare la breccia attraverso la quale si è fatto strada e che può essere anche di diametro sorprendentemente ridotto rispetto al volume della massa erniata. La cute sovrastante può presentare zone assottigliate attraverso le quali è talora possibile osservare i movimenti vermicolari tipici della peristalsi intestinale o ascoltarne i borborigmi.
Il laparocele determina sulla dinamica respiratoria conseguenze che possono diventare drammatiche nelle ore successive alla sua risoluzione chirurgica per i seguenti motivi:
- La muscolatura della parete addominale è costituita lateralmente dai muscoli obliquo esterno e obliquo interno e anteriormente dai muscoli retti. La loro contrazione determina un aumento della Pressione endo-addominale che spingendo in alto il diaframma contribuisce alla fase espiratoria della respirazione. In presenza di laparoceli voluminosi tale meccanismo risulta fortemente limitato.
- Nel corso della fase inspiratoria l’abbassamento per contrazione del muscolo diaframmatico viene normalmente bilanciato dalla Pressione addominale determinata dalla contropressione della parete addominale. Nel laparocele questa risposta è insufficiente.
- Dopo la correzione chirurgica dei grandi laparoceli il riposizionamento di cospicue masse di intestino in un addome non più abituato a contenerle determina un incremento repentino e continuato dei valori pressori. Ne consegue una risalita stabile del diaframma che crea le premesse per un grave squilibrio dinamico della respirazione.
Voluminoso Laparocele
La diagnosi clinica, semplice, è basata sulla evidenza di una tumefazione, con particolari caratteristiche, in presenza di una cicatrice chirurgica, qualche volte anche distante. Nella preparazione all’intervento si rivela molto utile una TAC della parete e lo studio accurato della dinamica respiratoria.
Sono quelle tipiche delle ernie:
- Incarceramento (è l’irriducibilità che si manifesta in seguito alla formazione di aderenze tra intestino ed intestino, intestino e sacco peritoneale, sacco peritoneale e cavità sottocutanea)
- Infiammazione (può essere acuta o cronica, determinata da trauma o da infezione)
- Intasamento (accumulo di contenuto intestinale nelle anse del viscere erniato che non riesce a progredire)
- Strozzamento (improvvisa costrizione del peduncolo vascolare del contenuto erniario con grave ostacolo circolatorio)
- Rottura
CLASSIFICAZIONE DEI LAPAROCELI
La classificazione dei laparoceli è utile in quanto permette di catalogarli secondo precise caratteristiche.
Inizialmente la classificazione si basava solo sulla sede e sulle dimensioni.
Laparocele mediano
- peri-ombelicale
- sotto-ombelicale
- sopra-ombelicale
- xifo-pubico
Laparocele laterale
- pararettale
- transrettale
Laparocele “di confine”
- sottocostale
- fossa iliaca
- lombare
Difetto Parietale (diametro in cm)
Piccoli laparoceli < 5
Laparoceli intermedi 5 –10
Grandi Laparoceli > 10
Laparoceli Giganti > 20
Successivamente Chevrel nel 2000 introdusse una classificazione in cui aggiungeva alla sede e dimensione anche il criterio della recidiva.
Sede Incisione
M 1 = Epigastrico
M 2 = Mesogastrico
M 3 = Ipogastrico
M 4 = Xifo-pubico
L 1 = Sottocostale
L 2 = Trasverso
L 3 = Iliaco
L 4 = Lombare
Ampiezza
W 1 = < 5 cm
W 2 = 5 – 10 cm
W 3 = 10 – 15 cm
W 4 = > 15 cm
Recidiva
R0 = non recidiva
R1 = prima recidiva
R2 = seconda recidiva
R3 = terza recidiva
Ultimamente l’European Hernia Society ha pubblicato una classificazione più complessa ma che comprende vari criteri (sede, numero orifizi, pregressa protesi, recidiva, sintomatologia); è la classificazione di riferimento per tutti i chirurghi sia dal punto di vista clinico che scientifico.
Necessità di classificare i difetti di parete:
Al fine di parlare un linguaggio comune ed uniformare le strategie terapeutiche
Sede mediana: M
- M1: Laparocele Epigastrico
- M2: Laparocele Para-ombelicale
- M3: Laparocele Ipogastrico
- M4: Laparocele Xifo-Pubico
Sede mediana: L
- L1: Sottocostale
- L2: Trasverso
- L3: Iliaco
- L4: Lombare
Numero di orefizi: N
- N1: Unico orefizio
- N2: Orefizio doppio
- N3: Swiss cheese
Larghezza : W
- W1: < 4 CM
- W2: 5-10 CM
- W3: > 10CM
Recidiva : R
- R0: No recidiva
- R1: Prima recidiva
- R2: Seconda recidiva
- R3: terza recidiva
- R4: N. recidiva
Protesi : P
- P0: Nessuna protesi Precedente
- P1: Presenza di protesi
P1a: pregressa protesi onlay (Chevrel)
P1b: pregressa protesi retromuscolare (Rives)
P1c: pregressa protesi intra-addominale (Stoppa)
Sintomatologia : S
- S0: Riducibile
- S1: Non Riducibile
- S2: Strozzato (intervento d’urgenza)
PROTESI BIOLOGICA: COSA VUOL DIRE VERAMENTE?
Da cosa è composta e deriva, che differenze ci sono fra cross-linkata e non, qual’è il razionale fisiopatologico per il loro uso.
DEFINIZIONE
Il collagene è una delle proteine più importanti nei vertebrati e rappresenta un terzo delle proteine totali del corpo umano, dove riveste un ruolo fondamentale nella struttura e nella funzionalità di organi e tessuti, quali pelle, cartilagine, tessuto muscolare.
Il collagene occupa sicuramente il ruolo più importante tra le proteine strutturali del nostro corpo.
Esso è costituito da lunghe catene proteiche (oltre 1400 aminoacidi) che si avvolgono tra loro a tre a tre per formare una struttura a tripla elica molto resistente e compatta.
La sequenza di base delle catene è peculiare rispetto alle altre proteine, poiché principalmente costituita da tre aminoacidi che si ripetono, uno dei quali è sempre la glicina, mentre gli altri due sono per lo più prolina e idrossiprolina, solitamente molto meno rappresentati nelle altre proteine.
Le fibre di collagene sono il principale costituente del tessuto connettivo, che svolge un ruolo strutturale di protezione e sostegno dei tessuti molli e comprende gran parte della struttura della pelle, i legamenti e i tendini, le cartilagini.
In base alla sequenza di aminoacidi che costituiscono le catene polipeptidiche e alla struttura delle catene stesse, sono stati identificati 28 tipi di collagene, tra cui i più importanti sono il collagene di tipo I, che costituisce la maggior parte del collagene presente nel nostro organismo (90%) e si trova, oltre che nei tendini e nelle ossa, soprattutto nella pelle, dove rappresenta il principale componente strutturale della matrice extracellulare del derma; il collagene di tipo II, che è elemento essenziale delle cartilagini e svolge un ruolo fondamentale nelle articolazioni e nei dischi intervertebrali; il collagene di tipo III, presente nel derma e nelle pareti dei vasi sanguigni; il collagene di tipo IV, che assume una struttura a reticolo con funzione di sostegno e forma la membrana basale.

Il Collagene è composto da catene polipeptidiche (aminoacidi)
3 di queste catene interagiscono per formare una molecola di collagene
5 molecole di collagene interagiscono per formare una microfibrilla
Più microfibrille interagiscono per formare fibrille
Nel collagene nativo la struttura proteica è stabilizzata da naturali “CROSS-LINK” (ponti, saldature) la cui presenza conferisce robustezza, resistenza meccanica e tensile al collagene garantendone durata e funzionalità nel tempo
Le protesi biologiche attualmente disponibili possono derivare da vari tessuti:
- derma
- pericardio
- sottomucosa di piccolo intestino
Le origini possono essere umane o animali. In quest’ultimo caso le protesi biologiche possono essere estratte da tessuto bovino, suino o equino.
In commercio esistono 17 diversi tipi di protesi biologiche ed ognuna differisce non solo per la derivazione ma anche per i processi produttivi e per caratteristiche fisiche e chimiche.
Il mondo delle protesi biologiche contiene dunque molte variabili per cui si pongono problemi clinici sia di scelta di materiale sia di risultati a distanza. Ne consegue che non si può parlare genericamente di “protesi biologica” in quanto ogni valutazione ve strettamente correlata al prodotto utilizzato.
Ultimamente, poi, sono state introdotte altre protesi che vengono comunemente indicate anch’esse come “biologiche”: in realtà per queste protesi dovrebbe essere usata la dizione “bio-like” in quanto non sono di derivazione animale ma frutto di una sintesi chimica avendo di biologico solo il comportamneto in quanto sottoposte ad un meccanismo idrolitico o enzimatico di lento riassorbimento su cui viene tracciata la rigenerazione tessutale
Tutti i tessuti di origine vengono sottoposti a processi di estrazione con cui vengono rimosse cellule, membrane lipidiche ed antigeni associati alle membrane stesse al fine di ridurre la risposta antigenica a questi materiali xenogenici. Alla fine ne deriva una matrice acellulare di collagene che può anche avere configurazione 3D.
I processi di estrazione, tuttavia, possono indebolire in varia misura la struttura del collagene e quindi la resistenza tensiva dei diversi supporti acellulari.
Sulla base di queste considerazioni alcune matrici vengono sottoposte ad un processo chimico per ricreare un cross-link e dare maggiore resistenza. Il processo di estrazione cellulare è completato da un processo di “cross-linking”
I processi di estrazione da cui deriva la matrice acellulare di collagene di cui sono composte le protesi biologiche possono, tuttavia, indebolire in varia misura la struttura del collagene stesso e quindi compromettere in qualche misura la resistenza tensiva dei diversi supporti acellulari.
In alcune protesi biologiche si è voluto garantire questo sistema di “solidità e resistenza” per cui alcune matrici vengono sottoposte ad un processo chimico per ricreare il meccanismo di cross-link esistente in natura.
Questo processo che completa quello di estrazione cellulare si chiama “cross-linking” ed è una reazione chimica che genera legami stabili tra le molecole di collagene.
Il cross-linking può essere indotto artificialmente da varie sostanze (glutaraldeide, genipina, Hexamethylene Diisocyanate – HMDI).
In linea teorica i vantaggi che ne possono derivare sono:
- Stabilizza la struttura del collagene favorendo la resistenza meccanica
- Ritarda la degradazione del collagene bloccando i siti di legame delle collagenasi sia di origine umana che batterica. Ciò permette di mantenere l’impianto strutturalmente intatto più a lungo.
- Rende inaccessibile al sistema immunitario dell’ospite gli antigeni xenogenici presenti sul supporto di origine animale al fine di non stimolare una risposta immunologica anticorpo- e/o cellulo-mediata.
La scelta di operare o meno questo processo è soggetta ad ampio dibattito fra chirurghi, biologi ed ingegneri bio-chimici in quanto i vantaggi sopra ricordati possono essere vanificati da aspetti non altrettanto positivi come avremo modo di analizzare fra breve.
Di fatto, le protesi biologiche si trovano divise in due grandi categorie:
- non cross-linkate
- cross-linkate
Per cercare di capire l’utilità o meno del cross-linking è utile questo schema in cui in ordinata è visualizzata l’entità di tessuto neoformato che progressivamente sostituisce la protesi nel processo di rigenerazione-integrazione tessutale che va da rapido a lento e in ascissa l’entità della protesi che rimane che può essere più o meno.
In linea teorica in assenza di un cross-linking la degradazione protesica può essere cosi veloce da non dar spazio allo sviluppo di tessuto neoformato rigenerato.
Con un cross-linking parziale si può ottenere una buon equilibrio con una protesi che rimarrebbe comunque un tempo sufficiente per permettere a fibroblasti, neocollagene e vasi neoformati di costituire un valido tessuto ripartivo.
Con un cross-linking troppo spinto si corre il rischio che la protesi sia molto resistente ai processi enzimatici di integrazione con il risultato di una rigenerazione tessutale incompleta; la protesi rimane in sede in toto o parzialmente venendo cosi a mancare l’obiettivo concettuale di completa “rigenerazione”
Diagram is an adaptation of Liang, HC, et al. (reference 8).
Schemi tratti da:http://www.medtronic.com/covidien/products/hernia-repair/permacol-surgical-implant
Abbiamo dunque visto che con le protesi biologiche si passa dal concetto di RIPARAZIONE TESSUTALE a quello di RIGENERAZIONE TESSUTALE, processo per cui la protesi viene progressivamente sostituita da tessuto neoformato.
In tale processo la protesi biologica funziona da:
SCAFFOLD, IMPALCATURA
Struttura tridimensionale che permette una migrazione cellulare “ordinata”tale da ottenere un tessuto “nativo” di alta qualità, ben vascolarizzato
In questo processo cosa può capitare? Questo grafico può aiutarci a capire meglio. Se la protesi è troppo “debole” (processo di estrazione non adeguato o assenza di cross-linking) la curva della rigenerazione tessutale e quella della degradazione dell’impianto si intersecano troppo prematuramente: la protesi esaurisce troppo presto la sua funzione di scaffold e viene sostituita da un processo rigenerativo che non ha avuto il tempo necessario per permeare in modo ordinato e stabile la protesi stessa. La protesi, dunque, scompare con il vantaggio di non avere un “corpo estraneo” in sede ma il tessuto neoformato non è valido, resistente ed elastico, e il risultato dell’intervento porterà con certezza ad una recidiva del laparocele.
In caso contrario, se la protesi è troppo resistente (cross-linking troppo “robusto”) non ci sarà mai o solo parzialmente la possibilità che il processo rigenerativo possa svilupparsi in modo corretto ed esauriente all’interno dello scaffold. Avremo, come conseguenza, che le due curve non si incontreranno con il risultato di una protesi che rimane intatta in sede ed una guarigione per cicatrizzazione che si svolge all’esterno ed indipendentemente dalla protesi stessa. Il risultato clinico? La presenza della protesi può comunque garantire la tenuta parietale e l’assenza di recidiva; rimane il problema del “corpo estraneo” in sede con le problematiche ad esso connesso (sierosi, infezioni etc).
La guarigione “ideale” è rappresentata da questo grafico: la curva della rigenerazione tessutale e quella della degradazione dell’impianto si intersecano al punto giusto in cui la protesi esaurisce praticamente la sua funzione di scaffold risultando integrata e la rigenerazione ha avuto il tempo necessario per permeare in modo ordinato e guidato la protesi formando tessuto neoformato valido, resistente ed elastico, tale da non dare esito ad alcuna recidiva.
Schemi tratti da:http://www.medtronic.com/covidien/products/hernia-repair/permacol-surgical-implant
Schemi tratti da:http://www.medtronic.com/covidien/products/hernia-repair/permacol-surgical-implant